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Dolore e sofferenza, ansia e tristezza: quando vivere diventa un problema da risolvere!

Tra le convinzioni meno utili ed efficaci che ogni uomo può coltivare nella vita vi sono quelle che suggeriscono che sia necessario e sufficiente eliminare il dolore, l'ansia e ogni altra forma di sofferenza dalla propria vita per raggiungere uno stato di felicità, quasi fosse l'ingrediente di una pietanza che possiamo scegliere di inserire, o meno, quando scegliamo di cucinare quel piatto.

Ogni essere vivente è soggetto alle leggi biologiche della natura, nel corso dell'evoluzione abbiamo acquisito una vasta gamma di strumenti e strategie che ci hanno permesso di massimizzare le opportunità di conservazione della specie, riuscendo a colonizzare l'intero pianeta e divenendo la specie dominante.

Tra questi strumenti vi sono le emozioni, "stati" della mente e del corpo in risposta ad eventi interni ed esterni che rappresentano un significato particolare per il nostro benessere (sopravvivenza, relazioni, salute, alimentazione, successo, etc.).

Questo "processo" ci ha permesso di evitare pericoli prima ancora di farne esperienza, o di ripetere gli stessi errori o scelte che hanno prodotto conseguenze spiacevoli, arrecandoci per esempio dolore e sofferenza.

Questo ragionamento è molto più semplice per alcuni animali che, come noi, provano emozioni: cane e scimmie per esempio.

Per noi esseri umani è un po più complesso.

Con l'evoluzione del cervello abbiamo acquisito uno strumento molto potente, che ci ha permesso di ottimizzare le nostre strategie di sopravvivenza e riproduzione: il linguaggio.

Esso nasce come strategia di problem solving, oltre che di collante per le relazioni e tanto altro.

Soffermiamoci sulla funzione di problem solving.

Il nostro cervello, grazie anche al linguaggio e quindi ai pensieri, tenta di mettere ordine agli eventi che accadono nel nostro contesto di vita (siano essi interni o esterni). Etichettiamo di continuo gli eventi di cui facciamo esperienza: un incontro, una sensazione, una scelta, un lavoro da svolgere, una passeggiata al parco, un'emozioni, un'idea, un ricordo percepiti al nostro interno.

Ognuna di queste etichette ed idea rappresenta il contenuto dei nostri pensieri, del nostro dialogo interno.
Un atteggiamento molto comune, per esempio, è quello di chiedersi come mai stiamo provando una certa emozione, perchè una sensazione non finisce o perchè abbiamo avuto certi pensieri o idee.

Questo atteggiamento viene definito problem solving verbale, ossia il tentativo di risolvere qualcosa ritenuto problematico e che produce sofferenza.

Molto spesso, l'oggetto di tale sofferenza è qualcosa che alberga al nostro interno, una sensazione o idea appunto, oppure uno stato d'ansia.

Quando la nostra mente ritiene problematico qualcosa di naturale e specifico del nostro funzionamento biologico è come se ritenessimo sbagliato o nocivo sbadigliare e tentassimo in tutti i modi di evitarlo o ridurne la frequenza.

Si innescherebbero processi ed atteggiamenti mentali che hanno come unico effetto, quello di amplificare lo stato di sofferenza e disagio iniziale.

A seguire si innescherebbero nuovi repertori comportamentali tra cui il monitoraggio delle sensazioni fisiche, l'evitamento di tutte quelle circostanze che hanno maggiori probabilità di innescare disagio e sofferenza, tentativi di distrazione da certi pensieri o idee.

Quali sono le conseguenze di questo atteggiamento?

La nostra vita si impoverirebbe, la nostra partecipazione ai contesti più importanti della nostra vita si ridurrebbe al minimo, contribuendo (in modo paradossale) a generare una più ampia gamma di emozioni e sensazioni dolorose. L'approccio terapeutico dell' ACT, consapevole di tali processi e limiti della nostra mente, ha individuato la possibilità di allenare atteggiamenti più utili e funzionali. Secondo l'ACT non possiamo eliminare il dolore dalle nostre vite (perchè parte di un programma biologico comune a tutte le specie) ma possiamo scegliere di non combatterlo, di non controllarlo, di non evitare rinunciare a tutte quelle circostanze in cui è probabile che si presenti. Attraverso specifiche tecniche, tra cui la mindfulness, è possibile assumere un atteggiamento mentale diverso nei confronti di tutte quelle sensazioni e pensieri che animano la nostra mente.

L'obiettivo non è quello di eliminare il dolore dalle nostre vite bensì quello di fare spazio anche al dolore e ad ogni altra esperienza spiacevole che non è possibile modificare, senza rinunciare a vivere una vita comunque ricca e significativa. Ogni essere umano farà esperienza, nel corso della vita, ad eventi e circostanze che produrranno dolore e sofferenza. Per quanto dolorosi e difficili da gestire, questi stati del corpo e della mente sono solo una piccola parte della vita di noi esseri umani.

Siamo molto più del nostro dolore, delle nostre sensazioni e dei nostri pensieri. Siamo il centro di tutto, siamo quella costante che permette di dare valore alle nostre vite.

L'unica domanda a cui possiamo dare seguito non è perchè soffrire, quando smetteremo di soffrire, ma:

"Per cosa, nella vita, vale la pena anche soffrire?"

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