Essere gentili verso se stessi, la Self Compassion in psicoterapia.

Sai molto bene, profondamente dentro te stesso, che esiste solo un’unica magia, un unico potere, un’unica salvezza... e che si chiama amore. Allora bene, ama la tua sofferenza. Non opporle resistenza, non fuggirne via. E’ la tua avversione che procura dolore, nient’altro.

La compassione è tra i termini che più stanno avendo diffusione negli ultimi anni, anche grazie alla diffusione degli approcci terapeutici  definiti di terza generazione;  approcci  in   cui  è  centrale  la ricerca di  un’alternativa  al controllo, alla lotta verso la sofferenza, promuovendo un   contatto autentico con il qui e ora, e con tutto ciò che esso contiene, compreso il dolore di cui vorremmo sbarazzarci.

La compassione è spesso confusa con un’accezione del termine che nulla ha a che vedere con la sua più alta e preziosa natura e finalità.

In tal senso essa viene vista come la tendenza ad assumere un atteggiamento di freddo e sprezzante distacco verso qualcuno che soffre e la cui

sofferenza non è qualcosa che ci appartiene, quindi nulla verso cui agire alcun atteggiamento di aiuto o appoggio.

E’ forse questa percezione che ha rallentato, negli anni, la diffusione di un cultura e di un atteggiamento che oggi si sta dimostrando in grado di fare la differenza nei processi di cambiamento e benessere personale. Riprendendo una citazione dello psicologo Nicola Petrocchi : “la compassione non è solo una virtù da contemplare ma un’abilità che può essere allenata con benefici  immensi”. La compassione,  o compassion, è l’attitudine volontaria che promuove  il riconoscimento del dolore, di ogni forma di sofferenza, personale o altrui, accogliendola in modo gentile, non giudicante non finalizzato alla sua risoluzione quanto piuttosto a validare la nostra natura umana condivisa. La compassione può essere agita in ogni istante della nostra vita: di fronte ad un fallimento o ad una perdita, mentre agiamo scelte difficili o importanti e mentre sosteniamo prove e momenti difficili della nostra vita come malattie, cambiamenti, ed ogni altro evento verso cui non ci sentiamo pronti. Essa favorisce la capacità di notare il dolore altrui, in modo empatico, rinunciando al tentativo di risolverlo come fuga dal dolore, con frasi del tipo “rilassati ”, “non avere paura ”, “non ti arrabbiare ”, “non pensare queste cose” etc. Queste frasi, all’orecchio di chi le ascolta, diventano: “Non è normale avere paura” “Non è normale essere tesi”, “è possibile non provare rabbia”, “è possibile esercitare controllo sui nostri pensieri”. Quando la persona a cui suggeriamo di agire nel tentativo di controllare il proprio dolore e le proprie emozioni fallisce, ecco che allora il suo dolore cresce. Il fine della compassion è di stare con il dolore altrui (e proprio) promuovendo un atteggiamento di gentile disponibilità, rinunciando alle soluzioni pratiche (almeno all’inizio) ma promuovendo una vicinanza autentica che possa contribuire ad alzare il volume di un calore e di un senso della presenza pari o quasi al dolore.

Dalla compassion alla self compassion

Si guarisce dalla sofferenza solo sperimentandola in pieno. Marcel Proust

Il beneficio di tale atteggiamento diventa massimo quando iniziamo a sperimentarlo verso noi stessi, coltivando quello che viene definito self compassion. Nel 2003, Kristin Neff, una psicologa e ricercatrice  americana  dell’università  del Texas, ad Austin, ha introdotto  il costrutto della Self-Compassion e individuato specifiche dimensioni legato al modo in cui   possiamo   rivolgere gentilezza a noi stessi, tra queste la possibilità di fare spazio all’idea che possano esistere parti più o meno grandi della nostra personalità che potrebbero non soddisfarci senza he per essi ci si debba rimproverare o essere oggetto di atteggiamenti. L’autrice spiega che grazie alla self compassion siamo in grado di sviluppare quella che lei definisce “resilienza emotiva”, attraverso cui facciamo spazio efficacemente alle emozioni dolorose.Anche la psicologa Sonja Lyubomirsky  nel suo libro "The how of happiness" individua nell’ “attitudine ad essere in connessione con il mondo circostante, provando empatia, gratitudine, e scegliendo di essere gentili e generosi con gli altri ” uno dei fattori più in grado di promuovere benessere.

Le tre componenti della self compassion secondo Kristin Neff

Self compassion è quindi la disponibilità a concedere a noi stessi, soprattutto in momenti di sofferenza, lo stesso tipo di attenzione, cura e gentilezza che di solito riserviamo alle persone amate in condizioni simili. Questa attitudine si può riassumere attraverso tra abilità di base:

1) la capacità di trattarsi con gentilezza, disponibilità, attraverso un dialogo diverso dall’auto critica e dal giudizio svalutativo. Ciò non vuol dire che non debba esservi quella voce critica dentro di noi, non è nel nostro controllo e non esiste un tasto off che ne interrompa la percezione. Si tratta di un atteggiamento che ambisce a non dialogare con essa.

2) L’atteggiamento attraverso cui riconduciamo il nostro dolore, gli aspetti della nostra personalità e del nostro vissuto emotivo ad una condizione di umanità normale e. condivisa con tutti gli altri esseri umani

3) la capacità di avere un’esperienza non conflittuale con la propria esperienza interna, u contatto autentico con il momento presente (mindfulness).

La self compassion è uno strumento incredibilmente potente per affrontare le emozioni difficili. Ci può liberare dal ciclo distruttivo della reattività emotiva che così spesso gestisce le nostre vite.”

Kristin Neef.

Perché è cosi difficile essere compassionevoli?

Paul Gilbert, psicologo padre della terapia focalizzata sulla compassione, spiega che molte persone oppongono resistenza ad entrare in contatto con il dolore altrui per via delle conseguenze negative che ipotizzano: il rischio di rimanere incastrati in un legame dipendente, di sfruttamento, la scarsa capacità di tollerare lo stress e la sofferenza prodotta, nonostante, spiega l’autore, la capacità di provare empatia e compassione porta con sé più i benefici che svantaggi. La ricercatrice Tania Singer e  Matthieu Ricard (Monaco Buddhista) hanno approfondito il rapporto tra empatia e dolore pubblicati   pubblicando  un  prezioso  articolo   su  "Science". Secondo gli  autori, quando facciamo esperienza della sofferenza e dolore altrui, si attivano le stesse reti neurali attive quando siamo noi a provare quelle stesse sensazioni, perché il dolore dell'altro si crea in noi uno stato d'allerta, come se fossimo di fronte ad un pericolo.

Efficacia e benefici della Self Compassion

Numerosi e recenti studi stano tentando di esplorare le dimensioni connesse alla self compassion e alla compassione in generale. Presso l’Università di Exter, in collaborazione con l’Università di Oxford, è stato svolto uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Clinical Psychological Science”. Gli studioso sono giunti alla conclusione che l’auto-compassione ha la capacità di influenzare le risposte del sistema simpatico, sia a livello cardiaco (rallentando il battito) sia a livello endocrino, due delle componenti principali del sistema di allarme “flight” or “fight”,attacco o fuga. Ulteriori evidenze dimostrano un impatto positivo sul sistema immunitario, rafforzando le aree del cervello deputate alla regolazione delle emozioni.

Nel suo libro “La self Compassion” l’autrice Kristin Neff definisce la Self – Compassion:

Uno dei maggiori fattori protettivi contro ansia e depressione. Auto criticismo e i sentimenti di inadeguatezza giocano un ruolo importante nell’ansia e nella depressione. Quando ci sentiamo irrimediabilmente difettosi, incapaci di gestire le prove che la vita getta sulla nostra strada,

tendiamo a chiuderci emotivamente in risposta alla paura e alla vergogna...Mi piace chiamare questo stato mentale “mente melma nera”. Come liberarci da questa tendenza profondamente radicata di sguazzare nella melma nera? Donandoci compassione. Le persone compassionevoli

ruminano meno, riusciamo a prestare attenzione senza rimanere intrappolati, siamo efficaci, gentili e riusciamo a sperimentare le relazioni e la nostra vita in modo efficace, pieno, soddisfacente, a partire dalla consapevolezza che nulla dentro di noi è sbagliato, rotto o difettoso, che andiamo già bene cos’, che siamo noi stessi la prima persona con cui esserci gentili, e questo sentirci amati produrrà uno spazio di sicurezza e affetto.

Bibliografia

Il potere dell’essere gentili con se stessi (2019) di Kristin Neff – Franco Angeli editore


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