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Si può essere padroni di ciò che si fa, non di ciò che si prova.

Noi esseri umani siamo tra le specie più curiose in natura. Eric Fromm sottolineava questa nostra caratteristica con una frase che rende a pieno l'idea :

"L'uomo è l'unico animale per cui la sua stessa esistenza è un problema".

In altre parole, noi esseri umani siamo abili nel trovare problemi dove non esistono e ad agire un repertorio di comportamenti ed atteggiamenti come se qui problemi fossero reali.

Perchè tra tutti gli esseri viventi solo l'essere umano mostra questo atteggiamento?

Nessun altro essere vivente possiede il linguaggio, quindi il pensiero, e tutte le strutture nervose che lo rendono possibile. A molti tale affermazione potrebbe apparire priva di un significato plausibile e addirittura infondata.
E' necessario, pertanto, fare un passo indietro e riconsiderare l'idea di pensiero che noi tutti possediamo.

Quando facciamo riferimento alla capacità di "pensare" che noi esseri umani abbiamo sviluppato, consideriamo non solo la capacità di comprendere o produrre parole, ma anche e soprattutto ad un processo cognitivo che funge da "risolutore verbale" di problemi il cui compito evolutivo è quello di risolvere tutte le circostanze ritenute significative ai fini della sopravvivenza.

Perchè a volte fuggiamo delle emozioni intense e da tutte le circostanze che le potrebbero suscitare, come ad esempio una delusione, una perdita, il giudizio di una persona cara?

E' risaputo che le emozioni intense provocano disagio e sofferenza, il nostro cervello le tratta quindi alla stregua di qualcosa da evitare, da contrastare. Da questo atteggiamento abbiamo sviluppato la convinzione che una vita felice sia una vita in cui non si fa esperienza di emozioni intense, "negative", in cui le sensazioni sono sempre lievi, non interferiscono con le nostre attività e non si sostituiscono al sorriso in viso. Il genere umano ha sviluppato la convinzione che sia "sbagliato" provare alcune emozioni, pertanto si adopera con tutte le sue risorse per contrastarle.

E' questo il momento in cui entra in gioco il linguaggio. Ci adoperiamo mentalmente ponendoci domande, cercando risposte e rassicurazioni al solo fine di ridurre la sofferenza emotiva. In realtà, dal punto di vista fisiologico, le emozioni non sono in grado, da sole, a limitarci nelle nostre azioni e scopi. Lo diventano nel momento in cui tentiamo di contrastarle.
Quando esercitiamo un'eccessiva attenzione ai nostri stati emotivi, alle nostre sensazioni, finiamo per amplificarle ed alimentarle, consolidando la convinzione che siano qualcosa da controllare o addirittura evitare.

L' ACT e la mindfulness praticano l'apprezzamento consapevole, promuovono un atteggiamento nuovo, più flessibile verso gli stati interni (emozioni, pensieri, sensazioni), riconoscendo in loro un aspetto che sfugge completamente al nostro controllo, alla luce anche della consapevolezza che nel tentativo di controllarli o evitarli finiamo inevitabilmente per amplificarli e rinforzarli.

L'unico aspetto sul quale possiamo esercitare un controllo reale ed efficace sono le nostre azioni, le nostre scelte, i nostri comportamenti. Provate a svolgere questo breve esercizio. Mettetevi seduti sulla sedia e ripetete in mente: "io non voglio alzarmi, io non voglio alzarmi, io non voglio alzarmi".

Mentre ripetete questa frase ALZATEVI dalla sedia. Inizialmente proverete forse un po di resistenza, ma nulla che possa impedirvi di agire come avete scelto.

Quando vogliamo fare qualcosa, soprattutto se importante, non è necessario sentire dentro emozioni piacevoli o, al contrario, non sentirne di spiacevoli.

La cosa più importante è SCEGLIERE di farlo, consapevoli che non per forza deve essere semplice, ma se ci permette di avvicinarci ai nostri obiettivi, forse vale la pena provare, anche se difficile (ma non impossibile).

August 23, 2018

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